Un brivido e una carezza
Sembrava avere fretta il buio che in quel luogo si adagiava rapido su cose e persone; arrivava troppo presto e mentre la realtà pareva come mettersi da parte, avanzavano con esso frammenti del passato, pensieri premuti nelle viscere dall’ostacolo della luce e liberi ora di espandersi ovunque, fino a rigurgitare da ogni poro.
Quello era il momento in cui Tano avvertiva con esattezza la percezione del freddo, pungente, intenso. Era giunto sulle coste della Norvegia da tre mesi, convinto e desideroso di subire il fascino di un paesaggio imponente e silenzioso, in cui il bianco dominante gli dilatasse l’anima. Camminava senza risparmiarsi, per ore, percorrendo sovente strade battute, non disdegnando però l’inebriante sensazione di inoltrarsi senza meta tra i boschi di betulle e i cespugli di ginepro, con una fame primordiale di avventura.
Sulle rive di ruscelli rapidi e vorticosi, era riuscito a vedere persino la corsa innaturale dei salmoni che in quella stagione risalivano la corrente per mettere un’ipoteca sul loro futuro; li aveva osservati con ammirazione e anche invidiati poiché interpretava quel loro spasmodico modo di cercare il luogo adatto a deporre le uova, come la dimostrazione che per assicurarsi un domani sia necessario volgere lo sguardo indietro, ripercorrendo una strada insidiosa ma comunque l’unica possibile.
Aveva assistito ormai a due pleniluni e quello era davvero uno spettacolo di smisurata bellezza; la luna appariva grande, come fosse vicina e, specchiata sulle acque del mare, creava frementi scintillii di cristallo. Una sera, nell’intento di isolarla e catturarla per intero nella sua mente, con un gesto da esperto fotoreporter la stagliò netta tra le mani intrecciate come fossero uno zoom: si accorse allora come un lampo che il suo colore non era quello pallido della poesia romantica, non assomigliava per nulla all’argento dell’immaginario collettivo, ma era piuttosto sanguigno, simile a un rubino trasparente: davanti ai suoi occhi, chissà perché, apparve allora un albero di melograno, quell’albero frondoso che incontrava da bambino sulla strada che lo portava dai nonni, in campagna. Un brivido gli accarezzò in quel momento la schiena ma stavolta quello che avvertì fu solo calore.